martedì 13 gennaio 2009

Viaggio alla riconquista della felicità (2)


E’ possibile mantenersi in uno stato di serenità costante, al di là degli accadimenti della vita, delle circostanze, dell’ambiente? Può sembrare una meta irraggiungibile, eppure, imparando a governare il pensiero e le emozioni, si può.
Naturalmente si tratta di un’arte che, come tutte le arti, va coltivata e sviluppata. C’è chi ce l’ha innata e c’è chi, invece, deve lavorare duramente per poter accedere anche solo ad un livello minimo di questa capacità cui, comunque, tutti possono puntare.
L’uomo è progettato per raggiungere la perfezione, è vocato alla felicità, ma fondamentale è la disposizione interiore, l’atteggiamento che si assume di fronte agli eventi. E’, infatti, il nostro atteggiamento verso la vita che determina l’atteggiamento della vita verso di noi.
Se ci autoisoliamo, verremo isolati, se ci percepiamo emarginati, verremo emarginati, se amiamo, saremo amati. Nel rispetto del principio di reciprocità che attiva meccanismi per cui a ciascuno accadrà quello che egli agisce sugli altri e sul mondo. Questo vale nel bene come nel male ed è applicabile ad ogni aspetto della vita, dal lavoro ai rapporti con gli altri. Se cominciamo a sentirci male in un dato posto, finiremo con lo starci male davvero, così come portare avanti degli impegni con attitudine negativa produce malessere fisico, mentre le giornate volano nella piena soddisfazione e nel più totale benessere per chi svolge con amore il proprio lavoro. E’, dunque, innanzitutto il nostro atteggiamento a decretare il nostro successo o il nostro fallimento, e, di conseguenza, nostra felicità.
Il concetto è sinteticamente e perfettamente espresso nella massima “noi siamo ciò che pensiamo” contenuto nella Katha Upanishad e fondamento della scuola di Raja Yoga di Patanjali. “Con i nostri pensieri creiamo il mondo”, “Come un uomo agisce, così egli diventa”, “Com’è il desiderio di un uomo, così è il suo destino”, sono modi diversi – tutti contenuti nei testi di saggezza indiani – per esprimere lo stesso concetto: fortuna e sfortuna, di fatto, non esistono, siamo noi gli artefici della nostra fortuna della nostra sfortuna, direttamente o indirettamente, consapevolmente o inconsapevolmente.
E’ un’opinione tanto diffusa da essere diventata un vizio pernicioso, il ritenere che la felicità dipenda dagli altri, dagli eventi esterni, da qualcosa al di fuori di noi. Come ogni vizio, quest’idea che serpeggia nelle nostre menti non fa che distruggere le buone qualità e rallentare i tempi per realizzare i nostri obiettivi. In realtà siamo noi stessi a creare la nostra felicità o a rifuggirla con il nostro atteggiamento. Prima interiormente, poi esteriormente.
Non c’è nulla di più errato che pensare che siano gli altri ad originare le nostre crisi e i nostri stati d’animo negativi. Anche quando veniamo danneggiati da qualcuno, quando viviamo una situazione difficile. Non è mai questo qualcuno la causa della nostra sofferenza, perché non è l’evento in sé a determinare la fortuna o la sfortuna, determinante è come noi lo viviamo. Ciò che conta è solo la nostra capacità di gestire i nostri pensieri e le nostre emozioni, l’arte o l’abilità di volgere al meglio qualsiasi evento.
Abituiamoci all’idea di poter far fiorire la nostra felicità, come un albero perenne, come un’abitudine. Ci si può abituare ala tristezza quanto alla felicità, la fatica è la stessa ma il risultato è totalmente diverso.

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