domenica 18 gennaio 2009

Il conflitto israelo-palestinese e il nostro contributo alla pace


Al di là di quella che può essere l’interpretazione sociale, politica, religiosa o economica delle cause che stanno alla base del conflitto che si sta consumando in queste settimane tra i popoli israeliano e palestinese, può essere utile ricordare che vi sono, però, anche e soprattutto, delle radici profonde che trovano terreno fertile nell’animo umano e che, proprio per questo, riguardano da vicino tutti noi.
Sono quelle che affondano in quel che il Tibetano – uno dei Maestri di Antica Saggezza – chiamava “l’eresia della separatezza”, una delle principali e più devastanti illusioni in cui l’uomo vive completamente immerso e che produce l’effetto di sentirsi soli e abbandonati, non compresi da nessuno. Questa totale distorsione della realtà ci porta a vedere gli altri come isole lontane e minacciose costringendoci ad erigere barriere di protezione contro quel “diverso” che con le sue stranezze ci appare tanto pericoloso. Questo fa sì che ci si senta del tutto giustificati in quella che è senza dubbio l’attività preferita dal genere umano, giudicare e criticare, sempre e comunque, coloro che non si identificano perfettamente con il nostro punto di vista. Ovvero, in qualche misura, tutti.
Così ci troviamo “l’un contro l’altro armati”, in uno stato di conflitto perenne di cui per lo più non siamo nemmeno consapevoli e che ci coinvolge in ogni aspetto della nostra esistenza. E’, così, molto frequente vedere come la critica e la contrapposizione prendono facilmente piede anche là dove ci si potrebbe aspettare più fratellanza e unità.
Se noi per primi, nelle nostre piccole faccende quotidiane, non riusciamo ad esimerci dal criticare il vicino, dal giudicare il collega di lavoro, dal sentirci migliori dell’impiegato che sta dall’altra parte dello sportello pubblico, come possiamo pretendere che popoli coinvolti in questioni tanto più gravi e più grandi di loro, che prendono le mosse da sentimenti ed emotività tanto più difficili da gestire, possano sedare i loro animi e arrivare ad instaurare una pacifica convivenza?
Se non riusciamo a mettere da parte nostri piccoli orgogli e presunzioni che ci fanno reagire secondo automatismi reimpostati anziché rispondere alle situazioni, così come alle persone, come possiamo aspettarci lo facciano gli altri?
Certo, sentimenti di comprensione e di tolleranza nei rapporti interpersonali non sono facili da sviluppare per la natura stessa dei rapporti che portano sempre con sé, in modo più o meno conscio, una componente di distanza e separatezza ma se smettessimo di comportarci come fossimo i depositari della verità assoluta e imparassimo ad accettare anche coloro tra noi che, pur sgradevoli, hanno tutto il diritto di dare nel modo in cui sono capaci il loro contributo alla vita, forse ci avvicineremmo, seppur vagamente, ad esprimere amore nei confronti dei nostri simili. E forse vivremmo anche meglio, noi per primi.
Prima di giudicare gli altri potremmo, per esempio, ricordare che siamo tutti nella stessa barca e che anche gli altri, come noi, sono alle prese con i propri limiti,le proprie difficoltà e con le stesse necessità di esperienza che abbiamo, o abbiamo avuto noi.
Questo ci aiuterebbe anche ad accettare meglio i nostri limiti e le nostre mancanze facendoci comprendere che vale la pena spendere un po’ di energie per accogliere gli altri nel nostro cuore, compresi i loro difetti, e per coltivare l’unità. Non dimentichiamo che seminare comprensione restituisce comprensione. Questo può essere il nostro contributo alla pace, nella consapevolezza che ogni piccolo cambiamento in noi in questa direzione avvicina l’umanità ad un grande cambiamento. Perché, come scriveva la Blavastkhy (fondatrice della Società teosofica): “Cercare di compiere riforme politiche prima che sia stata effettuata una riforma della natura umana, è come mettere vino nuovo in botti vecchie. Fate che gli uomini sentano e conoscano nel profondo del cuore qual è il loro vero, reale dovere verso tutti gli uomini, ed ogni vecchio abuso di potere, ogni legge iniqua della politica nazionale basata sull’'egoismo umano, sociale o politico, scompariranno da soli”.

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