sabato 27 dicembre 2008

Il significato esoterico della favola di Biancaneve


Favole e miti, contrariamente a quel che si può pensare, non sono mai banali favolette destinate ad intrattenere i bambini, ma al di là del loro significato letterale, nascondono profonde verità che possono darci indicazioni riguardo l’essenza vera delle cose, le dinamiche della vita e i meccanismi che ne sottendono il funzionamento.
Una lettura allegorica della fiaba di Biancaneve e i sette nani, ne è un esempio eclatante, capace com’è di riprendere alcuni concetti fondamentali delle antiche discipline esoteriche e di allinearsi, nel contempo, alle più moderne concezioni scientifiche.
L’antica favola dei fratelli Grimm (che, a loro volta, probabilmente, la ricavarono da miti ancor più antichi), tra i suoi molteplici significati ripropone il tema della creazione e della nascita del tempo. Essa fu ripresa da Walt Disney che, da buon studioso di esoterismo, vi riconobbe la rappresentazione del sistema solare e diede ai nani dei nomi significativi e per nulla casuali.
Il primo della serie è Dotto, in inglese Doc, che rappresenta il sole, dunque la luce, il giorno del sorgere della vita e della veglia. Poi c’è Mammolo, in originale Bashful, ovvero il timido, che rispecchia, invece, l’aspetto femminile, dunque la luna e il giorno della settimana del lunedì. Brontolo, Grumphy, l’irritabile, è Marte (martedì), Cucciolo, Dopey, piccolo e giovane, è Mercurio (mercoledì), dio portatore dell’informazione segreta. A questi si aggiungono, Gongolo, Happy, il gioviale, che rappresenta Giove (giovedì), Eolo, Sneezy, custode dei venti per Venere (venerdì) e infine Pisolo, Sleepy, che trova in Saturno – sabato – il giorno del sonno e del riposo.
Biancaneve è l’ottavo elemento della storia. Otto è il numero della totalità e, nella sua rappresentazione grafica riflette il senso di un tempo che si riproduce in un eterno, ma mai ripetibile, ritorno. Sette dgli elementi che fanno parte di questo scenario del mondo appartengono a una dimensione, per così dire, “ordinaria”, l’ottavo a una dimensione “straordinaria”.
I sette nanetti vivono da sempre nel bel mezzo del bosco, simbolo del mondo conosciuto (un elemento riproposto anche da Dante – anch’egli un iniziato e membro di un’antica scuola di saggezza – nella sua Divina Commedia). In esso, prima dell’arrivo di Biancaneve, l’azione, la rappresentazione della vita è ancora inespressa, il tempo ancora non esiste, essendo ogni cosa immersa in un eterno privo di ciclicità. Biancaneve rappresenta quella che nella moderna concezione scientifica viene chiamata la “forza debole” ovvero l’altro lato o aspetto della Forza Elettrodebole la cui esistenza era già stata ipotizzata da Fermi e confermata negli anni ’70, e complementare rispetto alla forza elettromagnetica (EM) che interagisce, illuminandola, con la materia ordinaria dando, così, origine al mondo per come lo conosciamo.
L’arrivo della ragazza dà inizio al tempo trasformando il “C’era una volta” – tempo anteriore al tempo – in tempo storico, e innescando un processo di creazione che movimenta la staticità della ristretta realtà del bosco e porta in atto i sentimenti e con essi l’amore. Con l’innescarsi della vita compare, ovviamente, anche la morte e con essa la rinascita, mentre l’eternità cede il passo al tempo che da lineare si fa circolare.
La Matrigna non è altro che la Matrix, l’illusione, la forza forte (che si oppone alla forza debole, ovvero Biancaneve), simbolo delle forze oscure che si oppongono all’ordine dell’esistenza dell’Universo (forza debole) e che trae in inganno facendo scambiare una minima parte con il Tutto. La Matrigna precipita la protagonista nel torpore del sonno, cioè della non conoscenza, proprio del mondo dell’apparenza, ma Biancaneve riprenderà i sensi, destata dal richiamo della coscienza e trasformerà il microcosmo dei nani in una dimensione prodigiosa.

(testo basato su “La scienza dell’Uno” di Vittorio Marchi)

venerdì 26 dicembre 2008

La mente: padrone o strumento?


Uno degli incubi ricorrenti che più spesso ha alimentato le fantasie degli sceneggiatori di film di fantascienza è quello in cui le macchine prendono il sopravvento sull’uomo trasformandosi da semplici strumenti in entità capaci di assumere il controllo della vita degli esseri umani.
Eppure quasi nessuno di noi è consapevole del fatto che una situazione molto simile è, per noi, già una realtà.
Degli strumenti più raffinati ed elevati che abbiamo a nostra disposizione, ovvero il nostro corpo, la nostra mente e il nostro intelletto, infatti, non sappiamo fare il giusto uso al punto che, si potrebbe dire, sono questi stessi strumenti che usano noi.
Contrariamente alla concezione occidentale che vuole che mente e intelletto siano una cosa sola, la visione trasmessa dal Vedanta (testi sacri indiani che trattano la Verità Suprema e il sentiero per realizzarla) intende queste due parti come facenti parte di un sistema composto di quattro strumenti o meglio quattro distinte funzioni.
Manas, la mente, è la sede delle emozioni, il luogo ove percepiamo di essere tristi, arrabbiati, felici o sereni. In essa risiede la facoltà del dubbio. L’intelletto prende il nome di Buddhi e costituisce la sede delle capacità decisionali, è lo strumento che ci consente di scegliere e di discriminare. Tutte le nostre azioni sono indotte dalle decisioni dell’intelletto. Chitta è l’archivio in cui sono conservati i nostri ricordi e in essa risiedono anche i nostri preconcetti in merito alle persone e alle situazioni che incontriamo nella nostra vita. in ultimo c’è ahamkara, il senso dell’io, ciò che ci dà coscienza delle azioni che compiamo e degli effetti delle nostre esperienze.
La mente, secondo il Vedanta, è un semplice flusso di pensieri che noi dovremmo essere in grado di controllare. Il problema è che noi non sappiamo usare la nostra mente, così, per la maggior parte del tempo siamo noi a rimanere sotto il suo controllo anziché il contrario dando luogo al fatto per cui è lo strumento che usa noi per fare ciò che vuole.
Per spiegare chiaramente questo concetto si usa generalmente l’esempio del cane che scodinzola agitando la coda per mostrare la sua felicità Se, però, fosse la coda a “scodinzolare” il cane, l’animale avrebbe ben pochi motivi per essere felice. Bene, noi, nei confronti della nostra mente, siamo come il cane “scodinzolato” dalla sua coda. L’effetto diretto di questa nostra incapacità a servirci come dovremmo di questo eccelso strumento è che siamo continuamente preda della nostra emotività che a sua volta dipende strettamente dai pensieri che attraversano la nostra mente. Siamo ora felici o depressi, ora esaltati e speranzosi, ora tristi e sconfortati in base al pensiero che in quel momento ci domina.
Imparare a usare la mente nel modo corretto, usandola, anziché facendocene usare, renderebbe sicuramente la nostra vita più serena e pacifica. Controllare gli strumenti di cui siamo stati dotati per rendere confortevole il viaggio della nostra vita ci permette di affrontare una situazione critica con una mente calma e tranquilla, consentendoci anche di attingere alla nostra forza interiore e alle risorse che ci sono in tutti noi.

sabato 20 dicembre 2008

A proposito del termine esoterico


Nel cercare una chiave di lettura dei fatti e dei fenomeni, mi capita speso di attingere e fare riferimento ad insegnamenti di natura esoterica. Ora, al fine di evitare che nell’incappare in questo abusato e vilipeso termine (cui sinceramente, pur rendendomi conto dei rischi, mi secca davvero rinunciare), il pensiero percorra insani sentieri che portano ad immagini oscure e tenebrose di riti sanguinosi e di pratiche, nella migliore delle ipotesi, truffaldine, vorrei spendere qualche riga per spiegarne il vero significato nella sua integrale accezione etimologica e l’ambito cui si riferisce.
La parola “esoterico” – che deriva dal greco esoterikos, ovvero “interno” – indica genericamente le dottrine di carattere segreto i cui insegnamenti sono riservati agli adepti, ai quali è riservata la possibilità della rivelazione della verità occulta, del significato nascosto. Nel linguaggio filosofico, il termine “esoterico” caratterizza l’insegnamento riservato dagli antichi filosofi greci, specialmente da Pitagora e Aristotele ai soli discepoli, in contrapposizione ad “exoterico”, ovvero esterno, destinato cioè ai profani, cioè a quanti non erano iniziati alla comprensione del linguaggio degli adepti. Exoteriche erano definite le lezioni della scuola peripatetica di più facile ascolto, da cui l’attributo passò poi alle opere aristoteliche destinate al grosso pubblico.
Insomma, non si tratta altro che degli insegnamenti che da sempre nella storia dell’umanità i Maestri di vita hanno impartito ai loro allievi. Anche il Maestro Gesù parlava in parabole perché la gente non capisse, mentre nel segreto spiegava ai suoi discepoli ogni cosa.
Nel corso dei secoli la parola ha finito con il venire associata a contesti misteriosi che richiedevano il rispetto del segreto affinché conoscenze antiche fossero tutelate ai più come nel caso di discipline quali l’astrologia, l’alchimia e la magia.
Purtroppo in epoca moderna, dal Seicento ad oggi, per intenderci, con il diffondersi di una concezione della scienza fondata sul materialismo e sul meccanicismo, questo patrimonio di saggezza antica è stato bollato come superstizione contribuendo a svilire il significato profondo del sapere esoterico.
A completare l’opera ha, poi, pensato, nell’ambito della nostra società consumistica, una schiera di truffatori, imbroglioni e sedicenti maghi dai presunti poteri soprannaturali, per non parlare delle tante sette di pazzi che hanno spesso insanguinato la cronaca, che hanno favorito la diffusione degli aspetti più superficiali e deleteri delle antiche conoscenze, aggiungendo alla degradazione anche una connotazione di carattere criminale.

Contrariamente a quanto comunemente si pensa, dunque, gli insegnamenti esoterici si riferiscono all’aspetto luminoso della vita che viene esplorata in tutte le sue dimensioni e manifestazioni al fine di portare ad una reale e completa comprensione della coscienza umana e della conoscenza di se stessi per permetterci di realizzare l’insegnamento consegnato da Gesù nelle mani dell’umanità: “ama il prossimo tuo come te stesso”. Perché solo conoscendoci a fondo possiamo veramente amarci, amando, così, anche i nostri fratelli.

martedì 16 dicembre 2008

Viaggio alla riconquista della felicità (1)


Essere felici: solo un'utopia o una possibile realtà?

Ci domandiamo mai se siamo felici? Per lo più no, anche perché la risposta sarebbe sconfortante nella maggior parte dei casi, negativa sempre, se per felicità intendiamo uno stato d’animo stabile e non un’esaltazione passeggera come quella che più o meno sporadicamente attraversa le nostre giornate generalmente per effetto di qualche evento che giudichiamo positivo.

Nel cuore di ciascuno di noi alberga la consapevolezza, più o meno vaga, che la vita potrebbe offrirci molto di più di quello che abbiamo, che noi stessi potremmo essere migliori, che potremmo vivere tra persone migliori, che il mondo in cui viviamo potrebbe essere diverso da quello che è oggi.
Purtroppo finiamo tutti, prima o poi – complici anche le distorsioni e le brutture da cui siamo quotidianamente circondati – per cedere alla convinzione che una vita in cui prevalgano l’Amore, la Verità e la Bellezza sia utopistica e irrealizzabile. Così mettiamo il nostro sogno di felicità in un cassetto, vergognandoci di voler coltivare quello che è diffusamente riconosciuto come un pensiero infantile ed ingenuo e dedicandoci, invece, a perseguire traguardi considerati più concreti che finiscono inevitabilmente con il rivelarsi, però, del tutto fallimentari ad allinearci al corrente modus vivendi.
Eppure, nonostante ogni nostro sforzo di soffocare questo sogno, nonostante il nostro più o meno forzoso realismo e appositamente congegnato cinismo(spesso proprio per difenderci da questo stesso sogno), la tensione verso la sua realizzazione non ci abbandona mai. E non può che essere così dato che esso sorge nella parte più profonda di noi stessi, quella che, incurante delle continue conferme che provengono dall’esterno, continua a considerare gli uomini come esseri fondamentalmente buoni, mossi nel loro – per quanto distorto – agire, da un’unica, grande forza, l’Amore.
Il nostro sogno di una possibile, vera felicità, è dunque lì, chiuso in quel cassetto di cui siamo convinti di aver perduto la chiave e aspetta solo che decidiamo una volta per tutte di intraprendere il cammino che ci porterà a riaprirlo facendoci scoprire, a dispetto dei problemi che quotidianamente cercano di stritolarci, delle malattie che ci affliggono, delle ansie e delle depressioni che ci intossicano l’esistenza, uno stato di profonda soddisfazione e di inalterata gioia di vivere e quell’Amore, quella Verità e quella Bellezza che sono racchiusi nel nucleo di ogni essere umano e che solo la nostra tendenza alla distruttività e i nostri attaccamenti – inconsapevoli ma non per questo meno reali ed efficaci – ci portano a negarci.

domenica 14 dicembre 2008

Tutto è uno: una verità che potrebbe salvare il mondo

“Tutto è uno” tre semplici, brevi parole che, accostate una all’altra, assumono una forza straordinaria e un’immensa potenza e capaci, nell’essenza del significato che trasmettono, di rivoluzionare il mondo.
Se, infatti, questo semplice ma clamoroso concetto entrasse finalmente nel comune sentire e diventasse patrimonio di ognuno di noi, l’ordinario punto di vista che ci vuole isolati, deboli e in contrapposizione l’uno all’altro, si ribalterebbe e la trappola in cui l’uomo sta rinchiuso da sempre si potrebbe aprire lasciandolo finalmente libero.
Purtroppo, l’idea di “separazione”, inculcata in particolar modo nel mondo occidentale dalla fisica classica dei materialisti del XVII secolo come Newton e Cartesio che consideravano il mondo alla stregua di una macchina, e rinforzata nei secoli dalle distorte interpretazioni spesso erroneamente e falsamente tramandate dalle religioni tradizionali, è ancora oggi il principio fondante del modus vivendi della nostra civiltà. Un modo di intendere la realtà che ci ha allontanato in maniera drammatica dal principio di verità che sottende il progetto universale della Vita, creando profondi squilibri nell’uomo stesso e nel mondo fisico per come lo conosciamo e in cui viviamo immersi.
La razionalità della scienza ufficiale rifiuta l’idea di unità e guarda al mondo come ad un insieme di parti slegate limitando la fiducia della mente umana e facendoci vedere solo quello che siamo stati programmati a vedere: una realtà fatta di pezzi staccati l’uno dall’altro in cui domina un senso di isolamento, di discontinuità e di disconnessione dal Tutto che trascina l’uomo in un abisso di altrettanta limitazione, impotenza e assenza di significato che lo induce a cercare soluzioni individuali, separate dalla globalità della vita e quindi destinate a concludersi con un fallimento.
E’ in questo sistema di conoscenze controllato da dogmi precostruiti che negano l’esistenza dello “spirito” – principio unificatore della vita – ed è sulla base di questa visione artefatta e arrogante della fisica ortodossa che gli insegnamenti delle antiche dottrine esoteriche sono stati liquidati come infantili fantasie.
Eppure a chi ha occhi per vedere, appare evidente come discipline quali l’alchimia, l’astrologia e la geometria sacra, la numerologia e la magia in tutte le sue forme, il significato profondo contenuto negli archetipi, così come il lato nascosto e criptico della simbologia affiorante da favole e miti, si interfacciano perfettamente – soprattutto a livello qualitativo e di significato – alle più recenti scoperte della fisica moderna aprendo lo sguardo ad una visione della realtà che svela la matrice comune da cui viene ogni cosa e che mostra come tutti – uomini, esseri viventi e “non viventi” – siano parte di un unico organismo. Un patrimonio di conoscenze che, se letto alla luce di un punto di vista capace di andare oltre la separazione e la contrapposizione tra scienza e tradizione, contribuiscono armoniosamente a completare un puzzle immenso in cui ciascun pezzo accostato l’uno all’altro, contribuisce a disegnare il profilo nascosto della Vita.
Insomma, scienza, metafisica e conoscenze storico-filosofiche non farebbero che confermare, osservando la realtà da punti di vista apparentemente lontani, che la verità sottesa alla vita è una e una soltanto.
In un mondo in cui la separatezza e il principio dell’uno contro tutti sembra avere, almeno esteriormente, la meglio sul genere umano, comprendere ed accettare di essere una piccola parte di un Tutto infinitamente più grande potrebbe costituire la salvezza per l’umanità, aprire le menti ad un approccio alla vita inclusivo, capace di dissolvere le tendenze alla separazione e all’isolamento oggi dominanti, rendendo, così, possibile una nuova modalità di relazione tra uomo e uomo e tra uomo e ambiente. Un punto di vista la cui forza potrebbe dirigere il mondo verso una convivenza migliore. Sulla base di questa consapevolezza, infatti, diventerebbe semplice comprendere che, se tutto è connesso, è assolutamente controproducente da parte di un essere, provocare il dolore, o addirittura la morte, di un altro essere, perché ad un livello profondo di realtà agire il male sugli altri è come far male a se stessi.Gli antichi Veda indiani già migliaia di anni or sono, a tal proposito, parlavano di legge del karma, un concetto che riporta su basi pratiche l’idea dell’esistenza di un livello di realtà in cui tutto è collegato. Quanto ancora noi occidentali dovremo aspettare per accettare questa fondamentale verità e consentirci di trasformare la nostra società e quindi la nostra vita?

L'universo, fonte e origine di energia infinita


L'universo è fatto di energia ed esiste una sorgente divina di questa energia che chiamiamo Creatore e al quale sono stati dati molti nomi. Nonostante i tanti nomi il Creatore è uno solo, è la sorgente di ogni vita, la fonte primordiale. Da questa fonte originaria viene creata la dualità e da essa viene ogni vita. Prima della creazione eravamo una cosa sola con il nostro Creatore, vivevamo nella gioia assoluta e non conoscevamo nè dualità, nè separatezza, ma solo la gioia Divina. E' questa gioia che cerchiamo ogni giorno, perchè nel profondo del nostro sè conserviamo il ricordo della nostra divinità inciso in ogni nostra cellula. I problemi che ci troviamo di fronte nella vita sorgono dal fatto che scegliamo di dimenticare la nostra origine divina, cercando, invece, il piacere nelle attività mondane e nella ricchezza materiale. Ci aspettiamo che la famiglia, gli amici, gli amanti ci rendano felici, ma quando le persone e i beni materiali ci deludono, soffriamo. La nostra ignoranza ci fa sperimentare il dolore vero. E' soltanto risvegliandoci alla nostra verità, la verità della nostra natura divina, che possiamo cominciare a vivere un'esistenza piena. Gli antichi insegnamenti spirituali ci informano che quando il Creatore decise di creare, la dualità venne ad esistere. la pura energia non differenziata del Creatore i divise e diventò duale - Creatore e creato, entrambi della stessa essenza.